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Società della plastica


Da qualche tempo, certo più di un anno, si preparava quello che ora chiamiamo green new deal, il cui simbolo è la lotta alla plastica.
E' curioso pensare che decenni addietro, nelle zone rurali e non la plastica era il progresso, si ricoprivano pavimenti in cotto con il linoleum, si sradicavano isolatori in ceramica e trecce in tessuto per sostituirli con impianti più moderni, i tessuti sintetici prendevano il posto delle fibre naturali, la plastica entrava in ogni aspetto della nostra vita a scacciare il vecchio, a rimarcare la nostra indipendenza e supremazia sulla natura.
Curioso pensare a come le cose siano cambiate, a come, ora, la plastica rappresenti la società del consumo, ciò che non dura, il superfluo, il finto, la parte brutta del progresso, quella che non avremmo mai voluto vedere o affrontare. Così, tornati da tempo in voga i pavimenti in cotto e i mobili di legno massello, ora è la plastica a rappresentare il vecchio che deve essere eliminato per far spazio a una nuova coscienza verde, consapevole ed amica del pianeta.

La plastica però, ce la portiamo dentro. Quando dico questo,non mi sto riferendo alle microscopiche particelle nocive che si trovano dentro i cibi, ma al nostro incarnare quei valori negativi che ora attribuiamo al nuovo nemico.
Viviamo in una società della plastica in cui è diventato difficile stabilire chi ha creato chi, noi la plastica o la plastica noi? L'uso sconsiderato che ne abbiamo fatto in tutti questi anni è nato da una mentalità che non vede al futuro e, ora, al presente, l'inquinamento è nato da noi, non dalla sostanza in se.

Mi viene in mente quel detto che recita: quando il dito indica la luna lo sciocco guarda il dito, ecco, la nostra guerra alla plastica è una guerra al dito. Questa lotta è , in se stessa il sintomo di un morbo che ci ha colpito, è tanto giusta quanto inutile, per fare un paragone ha l'utilità della morfina per un malato terminale, elimina un sintomo, non la malattia di cui, tra l'altro, nessuno vuole parlare.
La situazione che stiamo vivendo mostra uno spaccato significativo, i sintomi che moltissimi accusano.
C'è una costante mancanza di attenzione a ciò che accade, lo sguardo si ferma all'involucro e il pensiero non cerca di capire cosa si trova in profondità, viviamo rapporti usa e getta, emozioni facili e di breve durata, passiamo il poco tempo libero consumando, acquistando merci che non possono darci ciò che realmente desideriamo senza chiederci quando qualcosa è andato storto mentre continuiamo a distruggere il mondo e noi stessi.

Noi, siamo la plastica, incarniamo nella nostra società e, specularmente, nelle nostre vite, tutte quelle caratteristiche dell'odiato materiale che ora vogliamo combattere.

La guerra alla plastica deve allora diventare,almeno in principio, una guerra per cambiare noi stessi, per abbandonare il nostro vivere allineati, i nostri pensieri tutti uguali,confezionati nelle fabbriche del consenso. Trasformandoci, dentro e fuori, possiamo dare il via al cambiamento della nostra società, fatta anch'essa di esseri umani.
Allora, non saranno più necessarie lotte alla plastica.
Per fare questo serve una forte dose di autodisciplina e la capacità di vedere le cose per quello che sono senza provare per noi stessi quella pietà che impedisce di andare avanti dicendoci che abbiamo già fatto tanto, sofferto e faticato e che, in fondo, va bene così.